La celiachia (dal greco κοιλιακός koiliakòs, “addominale”) è un’infiammazione cronica dell’intestino tenue, causata dall’ingestione di glutine che è un complesso proteico presente nelle farine comuni. Quando questa proteina entra nello stomaco, i villi intestinali che sono dei ripiegamenti cellulari, sono attaccati dalle cellule autoimmuni, poiché la loro funzione di assorbimento di nutrienti è interpretata come pericolosa da tali cellule. È una malattia altrettanto antica come il diabete, essendo già stata individuata da Areteo di Cappadocia 2.000 prima. Ritornò sconosciuta fino al 1887, quando il pediatra Samuel Gee ne riportò una descrizione grazie alle osservazioni svolte in bambini, riprendendo il termine usato da Areteo secoli prima, Celiachia, per indicare questa patologia. Dai suoi studi, osservò anche l’intolleranza al latte da parte dei pazienti e la necessità di condurre una dieta per curare questa patologia. A dargli man forte, intervenne nel 1908 il suo collega Christian Archibald Herter, che notò come il grasso fosse tollerato al contrario dei carboidrati. Tuttavia, fu durante la Seconda Guerra Mondiale, che il legame celiachia-farine fu dimostrato, grazie alle osservazioni del pediatra olandese Willem Karel Dicke. Questi osservò che i bambini affetti da tale patologia, tendevano a migliorare in mancanza di farina nella loro dieta, dovuta alla carestia in corso nel Paese. Quando la farina tornò nuovamente disponibile, i disturbi si ripresentarono. Successive ricerche, in seguito, definirono il rapporto tra l’indebolimento dei villi intestinali e il glutine, scoprendo anche collegamenti stretti con altre patologie autoimmuni come il diabete di primo tipo. In realtà, il glutine è costituito da due parti proteiche, la gliadina e la glutenina, di cui la prima scatena la reazione autoimmune. È una patologia difficile da trattare, perché gli ambienti possono essere facilmente contaminati, portando anche cibi senza glutine ad averlo. Non a caso, i carboidrati trattati per eliminarne il glutine, passano da un processo industriale di raffinazione molto avanzato. I sintomi sono diversi e contemporanei come nausee, dolori articolari, osteoporosi, lesioni al cavo orale, diarrea, gonfiore addominale, vomito e feci maleodoranti. Per individuarla, il medico può prescrivere un esame di sangue, cui può seguire la prescrizione di una biopsia (prelievo di tessuto da sottoporre ad analisi approfondite). Quando accertata, l’unica arma è una dieta priva di glutine, il che significa mettere al bando orzo e malto d’orzo, frumento di ogni tipo, amido, pasta e pane derivati, segale, farro, salumi e prodotti contenenti glutine e qualsiasi prodotto vi venga a contatto. Questa patologia regredisce in assenza di glutine e i villi si ricostituiscono, ma il soggetto, seppur negativizzato, resterà sempre a rischio.
Categoria: Patologie autoimmuni
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