Il diabete mellito di tipo 1 (dal greco “passaggio dolce” con allusione alle urine abbondanti dolci passanti nel rene per la presenza di zucchero ), è causato dalla distruzione delle cellule Beta delle isole di Langerhans del pancreas, produttrici dell’ormone proteico “insulina”. Quest’ormone ha il compito di tenere la quantità di glucosio presente nel sangue del nostro corpo a livelli costanti, al contrario di altri ormoni che sono iperglicemizzanti come il cortisolo. Per cause tuttora ignote, alcune cellule del sistema immunitario, deputate alla difesa del nostro corpo da agenti estranei, impazziscono e penetrano tra le isole di Langerans, provocandone la distruzione completa. Il tempo necessario affinché si completi il processo di distruzione varia da persona a persona. Tuttavia, tale processo resta asintomatico, cioè privo di sintomi evidenti fino a che l’annientamento delle cellule arrivi al 70%, soglia oltre la quale si manifestano velocemente i sintomi. Per individuare il processo in corso, occorrono degli esami specifici dedicati alla ricerca delle cellule autoimmuni che hanno iniziato il processo. Tuttavia, non sapendo quando il processo si verificherà, tale prevenzione è difficilmente applicabile. Il processo è inarrestabile, per cui non è più questione di se, ma di quando il diabete esordirà a piena forza. L’esordio è sempre evidente, poiché il neo paziente sviluppa sintomi eloquenti come eccessiva sete (polidipsia), accompagnata da un costante bisogno di urinare (poliuria), nausea, spossatezza, fame eccessiva (polifagia) e alito fruttato. Questi sintomi si spiegano in questo modo: mancando l’insulina sufficiente ad abbassare la quantità in costante ascesa del glucosio nel sangue, tale da saturare il nostro corpo, questo ricorre all’aumento della minzione per eliminare tale eccesso (poliuria), ma così si perdono grandi quantità d’acqua portando il corpo medesimo a disidratarsi. Quindi, si ha aumento delle sete (polidipsia), per compensare l’acqua perduta attraverso l’urinazione eccessiva. Nel frattempo, diminuendo la quantità d’insulina per la progressiva distruzione delle cellule di Langerhans, le cellule stesse rischiano la morte. Ciò avviene perché si nutrono di glucosio grazie all’insulina che funge da trasportatore delle molecole di glucosio dentro le cellule del corpo. Il nostro cervello, allora, interpretando questa situazione come mancanza di glucosio, libera le riserve di glicogeno (molecole di glucosio riunite in catena d’immediata assimilazione) presenti in alcuni nostri organi tra i quali il fegato e i muscoli. Tuttavia, mancando l’insulina che funge da veicolo di trasporto, tutto questo glucosio resta fuori dalle cellule e aggrava la saturazione del glucosio all’esterno delle cellule, senza placare la fame.
A questo punto, il cervello reagisce alla mancanza di energia prodotta dal consumo di glucosio indispensabile al buon funzionamento delle cellule, ed inizia ad aumentare la quota di energia prendendola direttamente dai grassi. Questo processo, però, non è graduale, per cui si producono rapidamente i cosiddetti corpi chetonici (detto acetone), che sono tossici per le cellule già indebolite. La saturazione acetonica del nostro corpo, quindi, diviene inarrestabile e può portare al coma chetoacidosico, mortale se non s’interviene subito con composti a base di potassio, insulina artificiale e glucosio. In genere la velocità di recupero del paziente dalla fase acuta dipende dalle condizioni in cui si trovava al momento del ricovero, ma occorre una settimana come minimo per sistemare il disordine presente. In questo lasso di tempo il personale medico e infermieristico addestra pazienti e parenti alle cure. Da questa forma di diabete di tipo 1 non si guarisce, nonostante le numerose ricerche presenti nel mondo, ma si cura con l’insulina artificiale, assolutamente necessaria per sopravvivere. Quest’ultima, di vari tipi e caratteristiche, è preparata in laboratorio, imitando il comportamento naturale delle cellule pancreatiche scomparse. Normalmente, il corpo produce una quantità costante d’insulina per mantenere gli zuccheri in una soglia tra i 75 e i 120 mg/dl. Quando s’ingerisce del cibo in quantità superiore a quella affrontabile dall’insulina di base prodotta dal corpo, il cervello ordina un supplemento di produzione d’insulina per far assorbire il glucosio prodotto dalla metabolizzazione di questo pasto. Nella persona con diabete di tipo 1, non esistendo più cellule Beta viventi, gli ordini del cervello vanno a vuoto. Perciò, occorre l’insulina artificiale che può essere inserita solo dall’esterno attraverso dispositivi (in ingl. device) quali le cosiddette penne e i microinfusori. Essendo però composta da catene proteiche artificiali, che non hanno alcun rapporto con il cervello stesso, quest’insulina sfugge al controllo di quest’ultimo e agisce in modo indipendente, secondo la durata e l’efficacia che i ricercatori gli hanno conferito in laboratorio. Ciò può generare successive ipoglicemie con possibili rialzi iperglicemici dovuti a interventi eccessivi. Il paziente, quindi, deve usare l’insulina artificiale, senza la quale riprende il processo auto-distruttivo della chetoacidosi. Oggi, la Federazione Diabete internazionale (IDF-International Diabetes Federation) stima che le persone affette da questo tipo diabete, definito diabete di 1 tipo, siano oltre un milione nel mondo, prevalentemente in Europa, negli Usa e nei Paesi del Golfo persico. Si stima che in Italia circa 250 mila persone abbiano il diabete di tipo 1, mentre in Sicilia il dato si attesta sui 17 mila, di cui 5 mila solo nella Provincia di Palermo. Tuttavia, i dati esatti non ci sono ancora, poiché mancano un registro nazionale e uno regionale che accertino l’effettività di tali cifre. Un elemento da tenere in conto è che questa forma di diabete colpisce prevalentemente la fascia dagli 0 ai 18 anni per cui era anche chiamato diabete giovanile, ma c’è una progressiva crescita di casi nell’adulto, oltre i 30 anni di età.